Salzburg, Haus für Mozart, “Don Giovanni ” di Wolfgang Amadeus Mozart
210 minuti alla fine
Dopo le Nozze di Figaro presentate a Salisburgo con successo unanime, Claus Guth mette in scena un Don Giovanni di rottura che non lascia indifferenti e che divide il pubblico del festival in ammiratori e detrattori.
La scena di Christian Schmidt è un bosco inquietante e cupo, squarciato da suggestivi giochi di luce che scandiscono il passare delle ore. La scena ruota mentre i protagonisti si muovono fra gli alberi offrendo carrellate di un bosco da film tedesco d’autore. Claus Guth sfrutta con tale intelligenza la scena unica per ambientare le situazioni che la discordanza d’ ambientazione (nessuna Siviglia, nessun palazzo, nessun cimitero etc.) in realtà è apparente poiché non viene meno la “verità “ della situazione e tutto risulta in sintonia con la musica.
Sulle note dell’ouverture assistiamo a un omicidio come se lo vedessimo da un cannocchiale: in un cerchio su sfondo nero Don Giovanni al ralenti uccide il Commendatore ma rimane ferito a morte: il tempo della rappresentazione è ciò che gli resta da vivere.
Don Giovanni e Leporello, drogati e derelitti, si aggirano nel bosco uniti come non mai da un rapporto di dipendenza reciproca che trova sprazzi di inedita dolcezza in una situazione molto pulp.
La ferita aperta di Don Giovanni è la piaga (inevitabile citazione di Amfortas) che macchia di sangue tutto ciò con cui entra in contatto, l’abito nuziale di Zerlina, i vestiti di Leporello, il parabrezza della macchina di Donna Anna su cui il seduttore disegna col sangue un cuore.
I personaggi fuggono, s’inseguono, s’incontrano sulle pendici del bosco con apparente casualità: Donna Anna e Don Ottavio con la macchina in panne chiedono aiuto all’amico libertino, Zerlina e Masetto scelgono il bosco per le foto ricordo, Donna Elvira è una signora bon ton seduta alla fermata d’autobus che ascolta con visibile disagio un Leporello poco raccomandabile che legge il catalogo dagli orari del bus, più per compiacere il padrone agonizzante sdraiato sul tetto della pensilina e ricordargli un glorioso passato che non per intrattenere un’impacciata Donna Elvira.
Don Giovanni è quasi sempre in scena, con lo sguardo assente del tossicodipendente e di chi sta prendendo le distanze dalla vita, gli eventi sembrano flash della memoria o sogni di felicità come quando intona la serenata raggomitolato a terra e il bosco si anima di tante Giselle che compaiono e scompaiono dietro gli alberi con grande poesia. E nel conto alla rovescia ci sta pure lo squallore di un picnic con birra, droga e cibo in scatola e un becchino (il Commendatore) che scava la fossa in cui cadrà il libertino avvolto dalla bruma del bosco.
L’opera non può che finire qui, adottando la versione di Vienna, ovvero catastrofe anziché sestetto moraleggiante e lieto fine. Dopo la morte di Don Giovanni non è tutto finito?
A Claus Guth la componente giocosa del dramma non interessa, anzi, la trasforma in un grottesco al limite dell’assurdo con ironia e crudeltà, forse sgradevoli, ma assolutamente coerenti. Il successo della regia si deve anche a due protagonisti d’eccezione che rispondono perfettamente alle intenzioni di Guth e le elevano a potenza.
Christoph Maltman è un Don Giovanni magrissimo, sarcastico e inquietante dalla sensualità sublimata nell’aspetto emaciato di chi ha troppo vissuto. Very british, aristocratico anche se alla deriva, carismatico senza essere plateale, un uomo che si confronta senza nascondersi con la vita e con la morte, fino all’ultimo respiro. La materia vocale è consistente e sgorga dal profondo, la voce ha bel timbro e colore, solo la dizione perfettibile tradisce il background anglosassone.
E trova grande sintonia con il Leporello di Erwin Schrott, che, smessi i panni del seduttore, crea un personaggio inedito di grande realismo grazie alle innate capacità attoriali e mimiche. Schrott s’immedesima fino in fondo nel servitore drogato e schizofrenico che vive ai margini della società, “puro folle”, creatura del bosco e della notte agile come uno scoiattolo, pieno di humanitas e com-passione nei confronti del suo – più alter ego che mai – padrone. Un personaggio affettuoso e sfaccettato che, al di là dei tics ossessivi da crisi di astinenza, tradisce la simpatia di Guth per il ruolo. La voce è profonda e vellutata, il fraseggio mobile e accurato, morbida l’emissione. Bravo davvero.
Dorothea Röschmann è un’ Elvira lirica, dalla voce limpida e luminosa, autenticamente mozartiana, il personaggio però non è completamente a fuoco e nel contesto appare un po’ smarrito.
Azzardata la scelta di Annette Dash come Donna Anna per carenze di emissione e un registro acuto non sufficientemente solido, anche se il ruolo della bella mantide sofisticata e viziosa le si addice in pieno.
Giovane e fresca la Zerlina di Ekaterina Siurina, più ingenua che maliziosa, dalla voce chiara e adeguata alla parte.
Alex Esposito ha voce di bel colore scuro e capacità di fraseggio , ma il suo Masetto è un po’ troppo arrabbiato.
Pavol Breslik (che si è alternato nel ruolo di Ottavio con Matthew Polenzani) ha bella voce lirica e tratteggia una figura volutamente incolore e senza carattere dominato da Donna Anna.
Sufficientemente autorevole il Commendatore di Anatoli Kotschberga.
Delude la non-direzione di Bertrand de Billy, che si limita ad accompagnare in modo convenzionale, senza fare scaturire nessuna magia, cantanti e partitura con dei Wiener Philarmoniker da routine poveri di colori e intenzioni. Peccato.
Come in un thriller si resta inchiodati alla sedia e il tempo vola, fra pugni allo stomaco, violenza e varia umanità.
Dopo le Nozze all’insegna della poesia e un Don Giovanni noir alta è l’attesa per Così fan tutte.
Visto a Salzburg, Haus für Mozart, il 29 agosto 2008
Ilaria Bellini
Teatro